Politica e libertà dal bisogno - parte II
"Un popolo che ha fame non è un popolo libero"
Proprio qualche settimana fa, su questi schermi, partendo dal famoso racconto di "Diogene e le lenticchie" ( VAI AL LINK ), parlavamo di democrazia e libertà dal bisogno.
Può dirsi compiuta una democrazia in cui l'uomo non è libero perché bisognoso di diritti, trasformati in concessioni, quali il lavoro e la sanità pubblica?
Siamo sicuri che l'uomo, privato della dignità di cittadino riconosciuta dalla costituzione, non sia tentato, per mera necessità, di svendere la propria coscienza e il proprio voto al miglior offerente?
Un concetto simile è stato espresso, nel saluto elettorale di Torricella Peligna, dal candidato del campo largo, Luciano D'Amico, il quale ha espresso, con proprie parole ciò che Sandro Pertini aveva affermato, anni addietro, in altro modo: "Un uomo che ha fame, non è un uomo libero".
ASCOLTA - Sandro Pertini: socialismo, libertà e giustizia sociale
Fame di lavoro, fame di servizi, fame di giustizia, fame di veder riconosciuto il proprio ruolo all'interno della nostra società.
Le elezioni regionali di domenica scorsa hanno visto l'affermazione chiara e netta di coalizioni ed esponenti politici ( di destra e sinistra ) che, negli anni, sono stati in grado di consolidare posizioni di potere fortemente incentrate su di una clientela ( nel senso latino del termine ) cristallizzata e granitica.
Ed allora, ci rendiamo conto che il problema esiste ed è serio.
La necessità di avere "entrature politiche" è assurta quasi a sistema inderogabile, tollerato e comunemente accettato, di cui il potere politico diventa vittima e carnefice nel momento in cui il leader regionale abruzzese del centro destra afferma, con molta serenità che "il vantaggio di avere un governo regionale di centro destra è nella benevolenza che accorda il governo centrale ( romano ) amico della stessa parte politica".
Una sorta di ricatto morale sbattuto in faccia a migliaia di elettori così come la presunta porta di Palazzo Chigi che dovrebbe essere sbattuta in faccia ad un eventuale governatore altro e non amico del governo.
Tutti conosciamo queste modalità di veicolazione del consenso ma in pochi, sinceramente, potevamo solo preconizzare che le modalità stesse diventassero così di uso comune da poterle sbandierare ai quattro venti su un palco elettorale.
La buona politica, di destra o di sinistra, deve impegnarsi a scardinare questo sistema.
Un sistema che ti nega diritti e poi te li restituisce, sotto forma di concessioni, in un sinallagmatico "do ut des" non contemplato dal nostro ordinamento.
Un sistema fatto di vassalli, valvassori e galoppini che perpetuano la rigenerazione costante delle stesse posizioni di potere.
Un sistema che, infine, entra nella "carne viva" dei problemi della gente, in modo negativo, costruendo criticità di cui l'elettorato non si cura.